Ma non è che sto
sbagliando io?
Seduto in panca,
lì dove oramai da mesi la gente ha un po' fatto l'occhio a vedercelo, consueto
fratino sopra la tuta, gomma masticata non senza un certo nervosismo, Francesco
Totti per un attimo è tentato dal rielaborare le proprie posizioni. Perché si
può essere coerenti fino alla fine, ma è anche vero che prima o poi un paio di
domande ce le si deve fare. E allora Totti ci pensa seriamente.
“Ma non è che
sto sbagliando io?”.
Credeva che dopo
l'ultima partita, quel suo tiraccio valso un prezioso punto in classifica
avesse convinto una volta per tutte quell'altro. E invece niente, ancora
panchina. Pure col Torino. Francesco è incazzato, ma cela bene la sua
impazienza. E ora che per un attimo il suo sguardo si perde nel vuoto, dalla
poltroncina coperta dal plexiglas, con la partita che sta per volgere al
termine, Francesco ci prova a fare un passo indietro. Non può fare sempre lo
stesso errore, provare a vederla sempre a modo suo. Potrebbe essere che abbia
ragione l'altro. Dovrebbe realmente cominciare a cercare un'alternativa. Ma
qui, adesso, è difficile. Anche stasera fa male, essere a pochi metri
dall'immenso prato verde senza poterlo calcare con i compagni, e soprattutto
vedere quel pallone rotolare, così in fretta da un piede all'altro, senza
poterlo anche solo accarezzare con il collo piede. Ed ecco che Francesco la
sente salire, inesorabile. La piena lo travolge. Un'onda anomala di suoni ed
odori. Li percepisce forte, oggi come venti anni fa. La sfera calciata con
vigore, cuoio contro cuoio, un botto sordo che non ha onomatopee ma che ogni
uomo che ha messo piede in un campo conosce bene. I tacchetti che graffiano i
fili d'erba. Erba, l'odore di erba bagnata, irrigata poco prima del fischio
d'inizio. L'eco distorta delle urla del portiere agli uomini in barriera. Il
tanfo dell'unguento del fisioterapista spalmato sulle sue cosce, che arriva a
periodiche zaffate nelle sue narici. Il tessuto forato della casacca avvertito
sotto le mani. Francesco è in osmosi con il calcio. La sua vita non è in tutto
questo. La sua vita è tutto questo. E mentre comincia il riscaldamento, la
piena sale, sempre di più. Il boato dei tifosi che si sono accorti della sua
comparsa a bordo campo. I colori sgargianti dei tabelloni, della bandierina del
guardialinee, delle scarpe. Il mosaico policromo delle tribune e delle curve,
con le migliaia di tessere che si alternano ai vuoti dei sediolini blu. Totti è
sempre più immerso da tutto questo. Ancora una volta. E allora basta, decreta
una volta per tutte l'ego tottiano. Il capitano prende a due mani la sua
coscienza. Le parla. Se io lo volessi, a te andrebbe? Come per consigliarla di
lasciar stare tutte le parole e i progetti e le idee dei giornalisti e la
società e tutto il resto. Niente calcoli, che farli adesso non serve. Se io lo
volessi, a te andrebbe?
Passa qualche
minuto. Totti entra. Segna il primo gol. Pareggio. Si gioca ancora. Rigore. Lo
tira Totti. Gol.
In piedi,
davanti la sua panca ormai vuota, essendo tutti corsi ad abbracciare il loro
capitano, maglioncino e camicia, non senza lasciar trapelare dell'emozione,
Luciano Spalletti ci pensa seriamente:
“Ma
non è che sto sbagliando io?”
Francesco Grasso, 21/04/16 (liberi spunti da qui)
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