martedì 12 marzo 2019

Lontano dal cuore


Sonno. Tanto sonno. Anche un po' di ansia, in realtà. Quel classico misto di emozioni che precede un nuovo inizio, primo giorno di scuola o di lavoro che sia. Qualcosa di simile gli frullava nello stomaco da quando si era alzato, quella mattina. Già. Alzato, non svegliato: gli occhi non era mai riuscito a chiuderli, se non per pochissimo tempo, durante l'ultima notte piuttosto travagliata. Sentimenti contrastanti che non gli davano pace lo avevano fatto rigirare continuamente nel letto dell'albergo, a Ibiza. Ora non era più in vacanza. Aveva lasciato il resort di primo mattino, era stato accompagnato in aeroporto e prima delle nove era già in volo per l'Italia. Ora, seppur la poltroncina della prima classe fosse meravigliosamente comoda, non c'era alcuna chance perché potesse addormentarsi lungo la tratta.



Troppi pensieri. Il cervello lavorava, freneticamente. Un cervello fine, il suo, capace di trovare sempre la soluzione migliore in frazioni di secondo. Ne era sempre più consapevole; la sua vera forza era la mente. Capire dove la palla sia diretta prima degli altri, e quindi vincere quella continua lotta di sopravvivenza in area di rigore, che ogni domenica andava in scena e alla quale lui costantemente partecipava affamato. Adesso, tuttavia, il campo in cui la sua mente spaziava non era in erba. Era impegnato a rielaborare le tante frasi ascoltate nei giorni scorsi, a immaginare scenari futuri, a vagliare i pro e i contro delle scelte che aveva compiuto, non senza qualche difficoltà.



Cercava di ricomporre le tessere di un puzzle, che da ormai troppo tempo si era complicato. Un puzzle da centinaia di pezzi, di quelli dei quadri famosi. Un puzzle che però, con il progressivo assemblarsi dei tasselli, non stava rivelando l'immagine che lui aveva immaginato, quando aveva preso in mano lo scatolone e aveva cominciato ad assemblare. Stava venendo fuori qualcosa di inquietante. Non brutto, sia chiaro, anzi quasi affascinante. Ma nulla di più distante da un paesaggio primaverile. Il mosaico che stava nascendo, tassello dopo tassello, era ricco di ombre. Ombre lunghe, che mangiavano le pareti e i pavimenti, inglobando molti particolari che in questo modo diventavano impercettibili. Ombre che tuttavia si contrapponevano prepotentemente alla luce. Una luce stridula, non limpida, ma forte. Il contrasto tra le due anime lasciava il bomber sempre più agitato. Un quadro di De Chirico, ecco cosa stava venendo fuori.





Dubbi, incertezze e paure, tutte nascoste nelle ombre: che ne sarà di me, nel cuore di chi mi ha amato? È davvero la scelta giusta? Ma chi decide cosa sia giusto o sbagliato, in un mondo simile? Tutto intorno non c'è quasi nessuno a consigliare secondo coscienza; tutti hanno i loro conti da far tornare, e in momenti simili chi si era professato amico fraterno si divincola. Nell'ombra. E così il bomber rimane preda dei suoi sentimenti. La rabbia, per non aver vinto quanto meritasse davvero, va di pari passo con la consapevolezza di essere responsabile di ciò. Perché la sua mente, sempre pronta e determinata, lo ha abbandonato ancora una volta sotto porta. Quando in area non si deve lottare, ma ci si deve fiondare con la fame del leone. Tu per tu col portiere, nulla di più semplice e nulla di più tremendamente difficile. Lui lo sa, la mente si offusca, non c'è niente da fare, e si è annebbiata anche stavolta. Ancora una finale persa. Ed altra rabbia, perché questo sembrava davvero l'anno buono, con tutti quei palloni in fondo al sacco disseminati lungo lo stivale. La felicità di quella notte sotto la pioggia, con una città inchinata ai suoi piedi, ora sembra così lontana. Chissà se c'era spazio nell'ombra, per mettersi comodi e scrollarsi il peso delle paure dalle spalle.



Ma lui invece ha scelto la luce, pallida del meriggio. È uscito allo scoperto, e adesso è lì, esposto senza alcun riparo. E non si torna indietro. Il bagliore di una nuova avventura irradia il suo volto. Perché la luce? Il luccichio di un mondo nuovo, in cui tutto sa di successo e lustro, è ammaliante.

Ma non è certo lo scintillare delle coppe nelle bacheche ad essere attraente per uno come lui, che in una squadra di vertice ci ha già giocato. Tuffarsi nella luce è un modo come un altro per evitare di mettere a fuoco le proprie debolezze. E il bomber adesso è sereno, solo perché è riuscito ad evitare i suoi fantasmi. Non li ha uccisi, è solo che adesso non li vede. Solo pallida luce, e nient'altro. Dall'oblò vicino al suo posto i raggi arrivano sempre più intensi. L'aereo ha ormai intrapreso la fase di atterraggio. Distolta finalmente l'attenzione da questo lungo flusso di coscienza, si prepara a lasciare il velivolo.



Scende la scaletta a passi felpati, quasi come per lasciarsi ammirare dagli obiettivi, giunti lì tutti per lui. Accenna un sorriso, solleva un pollice. Ma la luce è veramente forte. È ancora mattino, il sole è alto. Gli punta direttamente nelle pupille, non riesce a tenere gli occhi aperti. A terra, un suo nuovo dirigente, munito di occhiali scuri, lo attende raggiante con una sciarpa a strisce, da porgli sul collo quanto prima. Il bomber ne intuisce i contorni, ma è sempre più stupito da quanto sia forte il bagliore che lo ha investito da quando ha lasciato l'aereo. A fatica, prosegue scalino dopo scalino. Vorrebbe coprirsi il volto, ma preferisce mantenersi al passamano. Un pensiero balena nella sua testa.



Ma non sarà troppa luce?

Francesco Grasso, 22/07/16

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