Sonno. Tanto sonno. Anche
un po' di ansia, in realtà. Quel classico misto di emozioni che precede un
nuovo inizio, primo giorno di scuola o di lavoro che sia. Qualcosa di simile
gli frullava nello stomaco da quando si era alzato, quella mattina. Già.
Alzato, non svegliato: gli occhi non era mai riuscito a chiuderli, se non per
pochissimo tempo, durante l'ultima notte piuttosto travagliata. Sentimenti
contrastanti che non gli davano pace lo avevano fatto rigirare continuamente
nel letto dell'albergo, a Ibiza. Ora non era più in vacanza. Aveva lasciato il
resort di primo mattino, era stato accompagnato in aeroporto e prima delle nove
era già in volo per l'Italia. Ora, seppur la poltroncina della prima classe
fosse meravigliosamente comoda, non c'era alcuna chance perché potesse
addormentarsi lungo la tratta.
Troppi pensieri. Il
cervello lavorava, freneticamente. Un cervello fine, il suo, capace di trovare
sempre la soluzione migliore in frazioni di secondo. Ne era sempre più
consapevole; la sua vera forza era la mente. Capire dove la palla sia diretta
prima degli altri, e quindi vincere quella continua lotta di sopravvivenza in
area di rigore, che ogni domenica andava in scena e alla quale lui
costantemente partecipava affamato. Adesso, tuttavia, il campo in cui la sua
mente spaziava non era in erba. Era impegnato a rielaborare le tante frasi
ascoltate nei giorni scorsi, a immaginare scenari futuri, a vagliare i pro e i
contro delle scelte che aveva compiuto, non senza qualche difficoltà.
Cercava di ricomporre le
tessere di un puzzle, che da ormai troppo tempo si era complicato. Un puzzle da
centinaia di pezzi, di quelli dei quadri famosi. Un puzzle che però, con il
progressivo assemblarsi dei tasselli, non stava rivelando l'immagine che lui aveva
immaginato, quando aveva preso in mano lo scatolone e aveva cominciato ad
assemblare. Stava venendo fuori qualcosa di inquietante. Non brutto, sia
chiaro, anzi quasi affascinante. Ma nulla di più distante da un paesaggio
primaverile. Il mosaico che stava nascendo, tassello dopo tassello, era ricco
di ombre. Ombre lunghe, che mangiavano le pareti e i pavimenti, inglobando
molti particolari che in questo modo diventavano impercettibili. Ombre che
tuttavia si contrapponevano prepotentemente alla luce. Una luce stridula, non
limpida, ma forte. Il contrasto tra le due anime lasciava il bomber sempre più
agitato. Un quadro di De Chirico, ecco cosa stava venendo fuori.
Dubbi, incertezze e paure,
tutte nascoste nelle ombre: che ne sarà di me, nel cuore di chi mi ha amato? È
davvero la scelta giusta? Ma chi decide cosa sia giusto o sbagliato, in un
mondo simile? Tutto intorno non c'è quasi nessuno a consigliare secondo
coscienza; tutti hanno i loro conti da far tornare, e in momenti simili chi si
era professato amico fraterno si divincola. Nell'ombra. E così il bomber rimane
preda dei suoi sentimenti. La rabbia, per non aver vinto quanto meritasse
davvero, va di pari passo con la consapevolezza di essere responsabile di ciò. Perché
la sua mente, sempre pronta e determinata, lo ha abbandonato ancora una volta
sotto porta. Quando in area non si deve lottare, ma ci si deve fiondare con la
fame del leone. Tu per tu col portiere, nulla di più semplice e nulla di più
tremendamente difficile. Lui lo sa, la mente si offusca, non c'è niente da
fare, e si è annebbiata anche stavolta. Ancora una finale persa. Ed altra
rabbia, perché questo sembrava davvero l'anno buono, con tutti quei palloni in
fondo al sacco disseminati lungo lo stivale. La felicità di quella notte sotto
la pioggia, con una città inchinata ai suoi piedi, ora sembra così lontana.
Chissà se c'era spazio nell'ombra, per mettersi comodi e scrollarsi il peso
delle paure dalle spalle.
Ma lui invece ha scelto la
luce, pallida del meriggio. È uscito allo scoperto, e adesso è lì, esposto
senza alcun riparo. E non si torna indietro. Il bagliore di una nuova avventura
irradia il suo volto. Perché la luce? Il luccichio di un mondo nuovo, in cui
tutto sa di successo e lustro, è ammaliante.
Ma non è certo lo
scintillare delle coppe nelle bacheche ad essere attraente per uno come lui,
che in una squadra di vertice ci ha già giocato. Tuffarsi nella luce è un modo
come un altro per evitare di mettere a fuoco le proprie debolezze. E il bomber
adesso è sereno, solo perché è riuscito ad evitare i suoi fantasmi. Non li ha
uccisi, è solo che adesso non li vede. Solo pallida luce, e nient'altro.
Dall'oblò vicino al suo posto i raggi arrivano sempre più intensi. L'aereo ha
ormai intrapreso la fase di atterraggio. Distolta finalmente l'attenzione da
questo lungo flusso di coscienza, si prepara a lasciare il velivolo.
Scende la scaletta a passi
felpati, quasi come per lasciarsi ammirare dagli obiettivi, giunti lì tutti per
lui. Accenna un sorriso, solleva un pollice. Ma la luce è veramente forte. È
ancora mattino, il sole è alto. Gli punta direttamente nelle pupille, non
riesce a tenere gli occhi aperti. A terra, un suo nuovo dirigente, munito di
occhiali scuri, lo attende raggiante con una sciarpa a strisce, da porgli sul
collo quanto prima. Il bomber ne intuisce i contorni, ma è sempre più stupito
da quanto sia forte il bagliore che lo ha investito da quando ha lasciato
l'aereo. A fatica, prosegue scalino dopo scalino. Vorrebbe coprirsi il volto,
ma preferisce mantenersi al passamano. Un pensiero balena nella sua testa.
Ma non sarà troppa luce?
Francesco Grasso, 22/07/16
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